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C’era una volta l’Indiano d’America, e c’è ancora!

Chi è l’Indiano d’America? Come vive? Dove vive? Che lingua parla? Che problemi ha?
Domande retoriche, ovvie e scontate quando ci si riferisce a comunità indigene ma così tanto rappresentative della cultura occidentale dominante. Domande impregnate di una dose di insano distacco, di esclusione, di giudizio. Le comunità indigene sono quel “soggetto altro” a cui le società faticano ad accostarsi. Un mito piuttosto che un popolo. Un’avventura piuttosto che storia. Uno spettro senza anima e spirito che si agita nell’oscurità della dimenticanza.
Gli indiani d’America sembra essere un concetto appartenente ad altri tempi, sembra come se si fossero estinti come i dinosauri, di cui rimangono pochi fossili culturali. La società moderna non conosce l’indiano d’America, e non è nemmeno corretto affermare che ne ha solo un vago ricordo, ne ha, invece, una visione distorta e colma di stereotipi e incorrettezza storiche. Gli stereotipi segnano non solo un’immobilità temporale che non aderisce alla realtà culturale e storica del vero nativo Americano, ma anche una rappresentazione inesatta, furviante e manipolata. Oggi, l’indiano d’America non è più il giovane bello e fiero come Vento nei capelli di Balla coi lupi, piuttosto è Uncas, il Mohicano di James Fenimore Cooper, l’ultimo della sua tribù che muore giovane e invano portandosi dietro ciò che rimane della sua cultura e della sua connessione con l’universo. Oggi, l’indiano è Natalie Hanson, di 18 anni vittima della vastità di abusi perpetrati sulle giovani native così come racconta il film denuncia del giovane Taylor Sheridan, o il mezzo sangue Ray Levol, o i 4 ragazzi di Reservation Dogs, espressione drammatica del limbo culturale generato dalla politica di integrazione che mostra per la prima volta il vero volto della riserva . E’ quell’uomo che vive nei recinti delle riserve e sogna l’America tra le pareti di cartone e lamiera delle baracche, affidando la sua anima all’alcol vendutogli dall’uomo bianco ai confini di quella terra rubata. E’ quello che sfida giornalmente i fantasmi del trauma storico-culturale intergenerazionale perché la cultura del bianco gli ha negato la verità e per questo reso invisibile e inascoltato al/dal mondo.
Il progetto nasce dall’esigenza di sensibilizzare le nuove generazioni sulla questione di Nativi Americani e di arricchire il loro sapere. L’intento progettuale non è solo quello di raccontare la storia di un popolo dimenticato, ma di condividere un messaggio importante: rispettare le diversità culturali e ambientali, e di diffondere una visione della vita che porti l’essere umano a evolversi in una equilibrata connessione con se stesso, gli altri e la natura.
Nel corso del seminario saranno letti e/o visionati scritti e video altamente rappresentativi della cultura degli indiani d’America. Tra i risultati attesi del seminario vi è la necessità di discutere sulla eredità (soprattutto in termini di sapere tradizionale) lasciataci da un grande popolo e che soprattutto ci permette di restituire la dignità e la voce ad un popolo volutamente dimenticato.

a cura di: Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali - DISPeS - UNICAL
  • codiceOPEN48
  • luogoP.zza Chiodo - Stand DISPES
  • destinatariStudenti e studentesse delle scuole superiori (14 - 18)
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